I conflitti armati sono il più grande business del nostro tempo: per cambiare orientamento, una Campagna fondata su Costituzione, disarmo e nonviolenza
La guerra è un affare, anzi è l’affare fondamentale del nostro tempo. Ormai le spese militari globali “legali” – e quindi le ricchezze di chi vende le armi, incrementate dai traffici illegali – hanno raggiunto qualcosa come 1.700 miliardi di dollari nell’ultimo anno, e questo non può che generare altro terrorismo e altre guerre. l’investimento più sicuro per il futuro dei mercanti di morte. Lo stato dell’arte lo spiega lucidamente il generale Fabio Mini, che già nel 2014 nel suo La guerra spiegata a… scriveva: «il fatto è che stiamo vivendo, a livello globale, e per la prima volta nella storia umana il “tempo della guerra”; la stagione in cui la guerra, come atteggiamento mentale e in tutte le sue forme visibili e invisibili, sembra rappresentare la sola risposta ai problemi di relazione tra gli uomini». E aggiunge, poche righe più avanti: «La guerra al terrorismo continuerà indefinitamente, perché non ne affronta le cause e perché in un mondo a economia stagnante è capace di mobilitare e bruciare le risorse, (,,,) Vero e unico business del nostro tempo: la guerra in sé, che ormai comprende tutto ciò che precede i conflitti armati e tutto ciò che li segue, per un tempo illimitato, in relazione a quanto si riesce a far credere e sopportare all’opinione pubblica».
E quanto il “tempo della guerra” e la sua preparazione minino alla radice la stressa democrazia lo spiegava
già nel 1968 Aldo Capitini in uno dei suoi ultimi scritti, Omnicrazia (oggi ne Il potere di tutti): «Si sa che cosa significa, oggi specialmente, la guerra e la sua preparazione: la sottrazione di enormi mezzi allo sviluppo civile, la strage di innocenti e di estranei, l’involuzione dell’educazione democratica e aperta, la riduzione della libertà e il soffocamento di ogni proposta di miglioramento della società e delle abitudini civili, la sostituzione totale dell’efficienza distruttiva al controllo dal basso». Dunque, il rifiuto della guerra e l’impegno costante per la pace – concludeva Capitini – è «la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso». Ossia l’elemento fondante di ogni possibile cambiamento politico, orientato alla piena democrazia e alla convivenza civile. Tuttavia, per costruire questo nuovo orientamento l’impegno per la pace non può più essere un tema, tutto sommato, residuale, come la vecchia bandiera arcobaleno
da tirare fuori nelle manifestazioni organizzate precipitosamente. Ma deve diventare il principio ispiratore ed orientante l’azione politica generale, l’elemento fondante di ogni discorso pubblico sulla difesa dei diritti sociali e civili, l’impegno strategico che sostiene le proposte di conversione dell’economia, il dato costitutivo su cui si fondano i progetti educativi…
Il “ripudio della guerra” è stato posto dai Costituenti tra i “principi fondamentali” della Repubblica: non solo la guerra come «strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche come «mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questo ci consegna il compito storico di protestare tutte le volte che il principio viene ignorato e aggirato, mentre partono (e vengono acquistati) bombardieri e carichi di armi; ma anche quello di elaborare e mettere in campo – continuativamente e costruttivamente – gli strumenti e i mezzi alternativi alla guerra, fondati sull’impegno per il disarmo, cioè il depotenziamento degli strumenti militari, e sulla nonviolenza, cioè la costruzione delle alternative. Queste sono proprio le finalità dello strumento politico che sei Reti nazionali si sono dati con la campagna “Un’altra difesa è possibile”, la quale – pur avendo raggiunto il primo obiettivo di presentare la proposta di legge di iniziativa popolare al Parlamento – è stata sostanzialmente guardata con sufficienza dal più ampio mondo che si può ricondurre genericamente al “movimento per la pace”. Eppure sono proprio gli obiettivi della Campagna che oggi rappresentano e fondano un “orientamento diverso”, che possono mettere in campo un programma politico differente all’altezza del “varco attuale della storia”.
Difendere la Costituzione, affermando i diritti civili e sociali in essa enunciati e difendere l’indipendenza e la libertà delle istituzioni democratiche del Paese; predisporre piani per la difesa civile non armata e nonviolenta, alternativa a quella militare, avviando progetti di formazione della popolazione alla resistenza civile; avviare ricerche e percorsi per la pace e l’educazione fondati sulla gestione nonviolenta dei conflitti, in specie interculturali;
smantellare gli armamenti per liberare le risorse oggi bruciate nelle spese militari; riconvertire le industrie belliche e vietare produzione e commercio delle armi; costituire un vero corpo civile di pace impegnato nella prevenzione dei conflitti armati, nella mediazione, nella riconciliazione, nella promozione dei diritti umani; investire risorse sulla solidarietà e la cooperazione internazionale in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in conflitto o post-conflitto; contrastare le situazioni di degrado sociale, culturale ed ambientale – al cui interno possono attecchire scelte fondamentaliste – anche con un grande investimento nel Servizio civile nazionale.
Sono gli obiettivi della Campagna pienamente dispiegati, il programma politico per la pace all’altezza del tempo della guerra.
Si tratta di assumerlo fino in fondo e portarlo avanti in maniera determinata, oggi più che mai.
Per questo lo scorso 2 giugno.
Festa della Repubblica, la Campagna “Un’altra difesa è possibile” ha lanciato la seconda fase: l’invito ai Parlamentari a sottoscrivere la legge (oltre settanta lo hanno già fatto), calendarizzarla e votarla. L’obiettivo di questa proposta di legge è di difendere primariamente i diritti costituzionali dei cittadini rileggendo l’articolo 52 della Costituzione – la difesa della patria – alla luce dall’articolo 11 – il ripudio della guerra. E’ un invito a disarmare le enormi spese militari – che preparano quelle guerre che nell’ultimo quarto di secolo hanno reso tutti più insicuri, oltre che violato la Costituzione e i
diritti altrui – a beneficio della pari dignità degli strumenti civili di difesa non armata 9 (per esempio il Servizio civile
nazionale) e della costruzione di mezzi e strumenti di intervento pacifico nelle controversie internazionali. Il principio che sottende a questa proposta di legge è la coerenza tra mezzi e fini: l’apertura della possibilità di costruire relazioni interne e internazionali fondate sul rispetto reciproco tra le persone e i popoli. Chi volesse dare una mano a preparare un salto di civiltà – con il mezzo realistico della nonviolenza, coerente con il fine – può inviare ai parlamentari del proprio collegio le cartoline che invitano ad aderire alla proposta di legge per l’altra difesa possibile: quella civile, non armata e nonviolenta.
Articolo di Pasquale Pugliese per Vita Nuova