Una riflessione di Sergio Bassoli (CGIL e Rete della Pace)
Stiamo vivendo una fase storica nella quale molti nodi stanno arrivando al pettine: il modello di sviluppo non regge più, le povertà e le diseguaglianze anziché scomparire si rafforzano e si diffondono anche nei paesi industrializzati, le guerre aumentano e fioriscono il mercato delle armi, la corruzione, l’illegalità e la speculazione finanziaria, i diritti sembrano essere diventati ostacoli e privilegi. Uno scenario quasi apocalittico che va in onda nel nostro pianeta prenotandosi la scena e il tutto esaurito per le prossime stagioni. Sarà la nostra generazione, salvo sorprese, a lasciare in Europa per la prima volta dell’epoca moderna, peggiori condizioni di vita alle future generazioni.
Appunto, salvo sorprese che noi vorremmo far accadere, per cambiare il corso della storia fin qui descritta e trasmessaci come pensiero unico ed assoluto.
Per quei cittadini e cittadine che si riconoscono nell’azione comune, nell’agire dei corpi intermedi propri dell’associazionismo impegnato, democratico e rappresentativo, è quindi il momento di pensare, proporre e mobilitarsi. Da circa un anno abbiamo intrapreso un nuovo cammino, riunendo tante diverse culture ed esperienze della nostra società, con un comune obiettivo: costruire una politica di pace, di giustizia sociale, di disarmo, di accoglienza. Riproporre alla politica un orizzonte lungo e proposte concrete, alternative e nuove visioni. Per far ciò il dialogo, il confronto, l’ascolto dell’altro sono approcci, pratiche ed esperienze fondamentali, superando divisioni e protagonismi, come si usa dire oggi “alzando l’asticella” per obiettivi che ogni singola associazione, da sola, non può raggiungere ma che uniti, forse, si può.
La proposta di legge popolare per una difesa civile e nonviolenta si colloca dentro questo percorso di convergenza e di costruzione di una alternativa politica per il nostro paese. Rappresenta il passaggio dalla critica all’attuale modello di difesa, militarizzato e orientato ad un nemico che non è più quello del risorgimento o delle grandi guerre del secolo scorso, ad una nuova concezione della difesa come sicurezza dentro un sistema europeo e di convivenza globale. Dove, sempre per rimanere al linguaggio corrente, non si rottama ma si converte, si riqualifica e si valorizza il patrimonio di competenze e di professionalità al servizio del bene pubblico, della pace e della sicurezza del territorio e dei cittadini. Non è credibile, per il presente e per le future generazioni, che si continui a proiettare in crescita la spesa militare a livello nazionale ed internazionale, comprimendo la spesa sociale e riducendo al nulla l’investimento nella cooperazione, nella protezione civile ed nell’impiego di corpi civili nella prevenzione e nella ricomposizione delle comunità vittime delle guerre. L’orizzonte del sistema di difesa deve puntare alla costruzione del sistema multipolare di difesa delle Nazioni Unite, con delega di sovranità da parte degli stati-nazione, dotando così il sistema del diritto internazionale del suo legittimo strumento di polizia internazionale, affinché gli stati riducano il proprio investimento e la propria struttura militare, a favore di maggiori investimenti nella cooperazione internazionale, nella protezione civile, nella difesa del territorio e dei beni comuni.
Un orizzonte lungo e irto di ostacoli viste le tendenze e le prove muscolari che gli stati continuano a voler sostenere senza alcuna lettura ed analisi critica dei danni prodotti e delle risorse buttate. Basti solo pensare a quanto speso dal governo USA e dai suoi alleati per la guerra in Afghanistan e dai risultati raggiunti: i morti, le distruzioni, ed una società che non trova pace. Mentre, invece, una politica diversa, impostata sulla società civile, sul ruolo e sulle reti delle comunità e le leadership locali, con l’impiego di forze d’interposizione nei luoghi e nei momenti opportuni, sempre sotto un mandato ONU, avrebbe certamente prodotto molti meno morti, meno distruzioni ed un nuovo patto tra le diverse comunità afghane in grado di ricondurre il paese alla riconciliazione ed alla vita democratica. E tanti altri casi noti e d’attualità, come l’Iraq, la Siria, la Libia, per non parlare dello storico conflitto tra Israele e la Palestina, che ciclicamente produce migliaia di morti ammazzati dall’inedia del sistema politico internazionale e dalla cultura della guerra, dovrebbero essere sufficienti per insinuare dubbi e porre riflessioni alle nostre istituzioni, prender atto che quelle ricette e quelle scelte ci stanno distruggendo.
Ed allora noi dobbiamo sorprenderli con una “sorpresa”, con proposte concrete, dimostrando che le alternative esistono e che non è più il tempo della paura e della disinformazione, del ricorso alle guerre giuste o alle alleanze dei volonterosi contro il male. La proposta di dar vita ad un nuovo sistema di difesa deve rientrare nelle riforme del nostro paese dentro il quadro di ridefinizione del nostro modello di sviluppo e di relazioni internazionali. Un percorso complesso ma indispensabile ed urgente.