Quali sono le alternative all’intervento armato nella risoluzione dei conflitti? Lo abbiamo chiesto a Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento (MN) che ha recentemente lanciato una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la Difesa Civile, Non armata e Nonviolenta.
Veronica Tarozzi per “Italia che cambia”
Già prima, ma soprattutto dopo essere stati testimoni dell’acuirsi delle crisi in ognuno dei fronti di guerra, sapientemente aperti dal governo degli Stati Uniti d’America e dai suoi tanti alleati (Italia compresa), viene spontaneo chiedersi se ci siano alternative all’intervento armato per la risoluzione dei conflitti.
Così come verrebbe spontaneo pensare che portare la pace con le bombe suoni quantomeno come un ossimoro. Specie quando le bombe vengono buttate direttamente sulla testa dei civili inermi. Può mai considerarsi un “danno collaterale” la morte di anche solo un bambino nel proclamato tentativo di sconfiggere il terrorismo internazionale? In altre parole: è logico spargere terrore per combattere il terrore? (ecco gli agghiaccianti numeri delle morti tra civili, causate dalla Coalizione Internazionale, solo nei primi giorni di quest’anno).
Di qui, la doverosa intervista a Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento (d’ora in poi MN, ndr), fondato da Aldo Capitini nel 1962. Una delle linee principali di sviluppo dell’impegno del MN è certamente l’opposizione integrale alla guerra in tutte le sue forme.
L’ultima Campagna promossa dal MN consiste proprio nella proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la Difesa Civile, Non armata e Nonviolenta, dando “concretezza a ciò che prefiguravano i Costituenti con il ripudio della guerra, e che già oggi è previsto dalla legge e confermato dalla Corte Costituzionale, cioè la realizzazione di una difesa civile alternativa alla difesa militare, finanziata direttamente dai cittadini attraverso l’opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi.
Obiettivo della Campagna è quello di dare uno strumento in mano ai cittadini per far organizzare dallo Stato la difesa civile, non armata e nonviolenta – ossia la difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; la preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; la difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni […] Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralità alla Costituzione che “ripudia la guerra” (art. 11), afferma la difesa dei diritti di cittadinanza ed affida ad ogni cittadino il “sacro dovere della difesa della patria” (art. 52).” Dal Dipartimento dipenderanno i Corpi Civili di Pace, l’Istituto di Ricerca sulla Pace e il Disarmo, la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco e il Servizio Civile Nazionale.
Cosa si intende per Difesa Civile Non armata e Nonviolenta?
La “difesa civile” è una difesa che viene fatta dai civili, non dai militari, che è quello che dice la Costituzione che affida al cittadino, non al militare, il sacro dovere della difesa della patria. “Non armata” vuol dire che non usa lo strumento militare (perché c’è anche una difesa civile armata, come quella applicata da una parte della Resistenza: i partigiani erano civili che usavano le armi. Anche qui ci sarebbe da aprire una parentesi perché andrebbe sottolineato come si sia trattato in gran parte di una resistenza civile e non armata. Essendo i Partigiani solo una piccola percentuale, avrebbero potuto fare poco e nulla se alla base non ci fosse stata una resistenza di tipo civile e rurale. Le donne nascondevano persone, facevano pubblicazioni e così via). “Nonviolenta” perché usa i metodi e le tecniche della nonviolenza.
La Campagna per l’istituzione della Difesa Civile Non armata e Nonviolenta richiede tutta una riflessione, un coinvolgimento del Paese per aprire un dibattito sui concetti base, quali la difesa, la sicurezza di cui oggi si parla quotidianamente. Ma il concetto non è astruso: se ci pensiamo bene uno degli elementi che maggiormente la caratterizzano esiste già. Quando noi ci affidiamo alla Protezione Civile, richiamiamo una parte di questo concetto. Ma anche quando il Paese si mobilita per aiutare L’Aquila, magari ospitando a casa gente che ha subito il terremoto e si crea un contesto di solidarietà; andiamo a ricostruire le scuole, aiutare gli studenti etc. questa è una difesa civile e non armata e fatta con i metodi della nonviolenza.
La Protezione Civile in Italia l’abbiamo costruita così. Non esisteva ai tempi del terremoto dell’Irpinia. Nacque a seguito di quella sciagura poiché ci si rese conto del fatto che fosse necessaria un’organizzazione a tutela dei cittadini colpiti da calamità naturali, che allora non esisteva. In Irpinia mandarono i militari che non sapevano da che parte cominciare. Infatti fu un disastro. In alcuni paesi si arrivò a portare aiuto con tre settimane di ritardo. Ci fu anche il noto caso in cui l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, si sfogò dicendo che la situazione era inaccettabile. Da lì nacque l’idea di una struttura non militare per organizzare gli aiuti e gli interventi emergenziali. (Prima ancora successe un altro fatto drammatico a Firenze, dove a far fronte all’alluvione furono i giovani di tutta Europa spalando fango. Il governo italiano non sapeva come reagire).
Noi però siamo convinti che la Protezione Civile potrebbe fare molto meglio e molto di più, soprattutto sul lavoro di prevenzione: oggi abbiamo un corpo che interviene solo a disastro avvenuto. Sarebbe certamente meglio se il disastro venisse evitato del tutto, laddove possibile. Non possiamo prevedere tutto, ma tante cose sì: le frane ad esempio possiamo individuarle prima ed evitarle; quanto all’esondazione dei fiumi, sappiamo quali sono e perché esondano (prevalentemente per ostruzione e cementificazione). Ecco, l’organizzazione di una difesa territoriale di questo tipo, va sotto il nome di Difesa Civile non armata e nonviolenta (d’ora in poi DCNN).
Noi sappiamo anche che ci costa molto di più ricostruire dopo, almeno dieci volte tanto secondo le stime, piuttosto che fare lavori di prevenzione o di sostegno preventivo. Allora investire sul territorio oggi, costa meno che intervenire sui disastri poi, come è facile dedurre dalle recenti alluvioni di Genova, La Spezia, Massa Carrara ed altre città. Stesso discorso vale naturalmente per i terremoti: costruire in modo oculato costa molto meno che dover ricostruire tutta la zona tra Modena e Ferrara (in cui si vedono ancora tutti i cantieri) come stiamo facendo. A L’Aquila poi non ne parliamo! Quindi è una questione anche di costi: con questo tipo di organizzazione non si spende 1 euro di più e nello stesso tempo si spende meglio, facendo risparmiare sia in termini di vite umane che di costi materiali.
Prendiamo il peggiore degli scenari: nel caso specifico di invasione dell’Italia da parte di altro Stato, in cosa consisterebbe la Difesa Civile Non armata e Nonviolenta?
Dividiamo in 2 il tema, altrimenti diventa troppo confuso: parliamo prima di tutto della questione dell’invasione dei confini della patria (di cui si discuteva anni fa) e successivamente della sicurezza o quello che oggi potremmo chiamare il pericolo dell’Isis, il contesto internazionale.
Oggi si parla meno di confini della patria e d’invasione perché da quando è stato adottato il Trattato di Schengen i confini italiani sono sulla carta, ma nella pratica non ci sono più, poiché ci troviamo a tutti gli effetti dentro l’Unione Europea. Quindi si potrebbe parlare tuttalpiù di invasione dello spazio europeo.
Ad esempio oggi è impensabile che la Francia ci invada, magari quando io ero giovane era più probabile. Pensiamo solo che l’80% dell’esercito italiano era in Friuli. Era stato messo lì perché dall’altra parte del confine c’era la Jugoslavia, che era il nemico. C’era la Cortina di Ferro, c’era ancora il Muro di Berlino: era un contesto molto diverso. In questo contesto nacque l’idea della difesa popolare nonviolenta, sapevamo di poterci difendere con la nonviolenza da un’invasione classica di questo tipo. A questo scopo portavamo tanti esempi in cui questo avvenne storicamente, dove si riusciva a non farsi invadere o a respingere nel tempo l’invasione applicando il principio fondamentale della non collaborazione. Un esercito invade uno Stato e vince la guerra quando la gente collabora e si lascia soggiogare.
Come avvenne per tanti anni in India con la presenza del colonialismo inglese, un’invasione vera e propria in cui conquistarono l’India mentre tutto il Paese collaborava ed accettava che l’organizzazione governativa venisse fatta dall’Impero inglese. Gandhi riuscì a capovolgere la situazione ponendosi come obiettivo il fatto che il popolo rifiutasse quest’invasione, riconoscesse una propria dignità e costruisse una propria indipendenza.
La Campagna per la liberazione dell’India dal Colonialismo inglese è durata 30 anni. Quindi tutto ciò che venne costruito: le scuole etc. era per ottenere questo risultato. Egli pensava giustamente che finché fossero gli inglesi a fare le scuole, i bambini sarebbero cresciuti con una mentalità da sudditi ed avrebbero obbedito all’invasore. Di qui il contatto con Maria Montessori e la Scuola Montessoriana (di cui parleremo in separata sede, ndr). Nel frattempo portò avanti tutta una serie di Campagne, come ad esempio quella della disobbedienza civile sulla tassa del sale. La nota marcia del sale, rientra in questa Campagna. Era un modo per dire: “Ma se noi continuiamo a pagare le tasse agli inglesi è chiaro che loro continueranno a detenere il potere e a governarci, rifiutiamoci di pagare le tasse!”. Il messaggio era chiaro: “Stiamo collaborando: i soldi glieli diamo noi, il lavoro glielo diamo noi etc.”
Ma episodi di questo tipo sono avvenuti anche in Europa durante la conquista Nazista. Ci furono vari episodi di resistenza armata, ma anche casi importanti di resistenza nonviolenta all’invasione tedesca. Quella più conosciuta, studiata ed approfondita dagli storici è stata quella danese: in Danimarca l’invasione nazista non riuscì completamente, ma solo in parte. Ad esempio non si verificò alcuna deportazione di ebrei, nemmeno 1 singolo ebreo danese fu deportato, grazie al fatto che riuscirono a nasconderne 5000. La popolazione non riconobbe il governo fantoccio che era stato messo in sostituzione dell’allora monarca e ci fu una non collaborazione totale e complessiva, ben organizzata. Ugualmente in Norvegia, ci fu in particolare un episodio che coinvolse gli insegnanti che si rifiutarono tutti di impiegare i programmi che aveva imposto il governo fantoccio nazista.
Quindi l’istituzione della DCNN consiste nell’organizzarsi in anticipo, perché la nonviolenza è soprattutto preventiva. Certo, se ti cade una bomba sulla testa, non c’è né violento, né nonviolento: l’unica via è la fuga per evitare che ti centri la testa! Quindi bisogna organizzare prima la struttura sociale in modo da essere predisposti all’organizzazione nonviolenta e non collaborativa. Successe anche in Kosovo, a seguito dell’ascesa al potere in Serbia di Slobodan Milošević, con la resistenza nonviolenta portata avanti da Ibrahim Rugova (successivamente crollato perché l’Europa non lo appoggiò) contro la politica di assimilazione forzata della minoranza albanese. Insegnavano l’albanese nelle scuole ed avevano tutta una struttura di solidarietà fra di loro, per proteggersi vicendevolmente.
Un altro caso di resistenza nonviolenta fu quello della Cecoslovacchia nel ’68. I giovani universitari si rifiutarono di collaborare con l’invasione sovietica, girando i cartelli stradali, facendo finta di non capire e non parlare il russo e così via. Di conseguenza l’invasore si trovò di fronte ad una popolazione che non collaborava. Gandhi diceva: “Certo, i primi verranno verosimilmente uccisi” e continuava: “Ma di sicuro la nonviolenza lavora per conseguire il miglior risultato nel lungo termine.” Diceva che c’era sempre bisogno di una buona dose di sacrificio e di assunzione di responsabilità sulle proprie spalle e non su quelle dell’altro. La difesa nonviolenta si basa su tutti questi principi. Allora bisogna avere un popolo cosciente, educato, formato, capace di organizzarsi. Questa è l’idea quando si parla d’invasione.
Per quanto riguarda invece il contesto internazionale oggi è molto diverso, abbiamo anche nuove sfide, ben sapendo che molti degli scenari sono prevalentemente mediatici, come quello dell’Isis. Però è anche vero che ci troviamo in taluni casi difronte a situazioni che non sappiamo affrontare o che vengono affrontate con metodi sbagliati. Anche questa questione dell’immigrazione, secondo me è pura follia: uno dei punti da affrontare subito sarebbe togliere il reato di clandestinità. Chiunque dovrebbe andare dove vuole e come vuole, si potrebbe mettere un bel traghetto a pagamento dalla Libia a qui, come c’è da Olbia a Genova, dove chi vuole monta su pagando il biglietto! Certamente poi quando arriva si dovrebbero fare i dovuti controlli del passaporto, come avviene in qualsiasi aeroporto internazionale: se uno è un delinquente lo si arresta e subirà un processo. Ma la persona che è a posto vada dove vuole, come chiunque di noi va dove vuole. Non si capisce perché proprio chi ha più bisogno non possa spostarsi. Ma è la legge che crea questo disagio e le tragedie a cui assistiamo in questi casi.
Viene inserito in questo quadro anche il terrorismo internazionale, che trae enormi profitti da questa deleteria gestione dell’immigrazione. Si finanzia infatti sia col traffico di esseri umani che con la conquista dei pozzi di petrolio e con tante altre cose. Per questo motivo per attuare la nonviolenza, prima va fatta una buona analisi della situazione, altrimenti non si sa come affrontarla e si fanno disastri. Ora il contesto è indubbiamente molto complesso. Ciononostante possiamo certamente delineare alcuni elementi chiave: quindi prima di andare a contrastare l’Isis (o chi per loro) sul piano militare, cerchiamo di bloccar loro i finanziamenti; capiamo da dove arrivano o in taluni casi evitiamo di darglieli direttamente, smettiamo di fornirgli le armi, blocchiamo il mercato internazionale delle armi. In Libia le armi ad es. sono italiane o francesi.
Quindi parlare oggi di difesa nazionale sul piano internazionale è diverso dalla difesa popolare dei confini. Oltretutto, secondo me, una cosa non fatta ma che andava sicuramente fatta e che bisogna fare tuttora è il sostegno anche finanziario, oltre che culturale dei gruppi di resistenza nonviolenta, civile e democratica che ci sono ad esempio in tutti i Paesi del Maghreb: sono stati lasciati a se stessi tanti giovani, studenti e così via. Della cosiddetta “Primavera Araba” dopo un mese se ne erano già dimenticati tutti. Di conseguenza, non avendo avuto il sostegno sono stati travolti dagli eventi.
Dove si trovano i fondi per istituire la Difesa Civile Non armata e Nonviolenta?
Sottraendo fondi alla difesa armata! Quando Repubblica e l’Espresso hanno pubblicato la Campagna del 2014 “Taglia le ali alle armi” contro l’acquisto degli F35, l’opinione pubblica era con noi. La domanda che si poneva era: “Come? Spendiamo tutti questi soldi per gli F35 (è prevista in tutto una spesa di oltre 50 miliardi di euro) e poi mancano i soldi per le pensioni?” È un paradosso di un’evidenza cristallina. La campagna per una DCNN prevede che si spostino fondi dalla difesa armata a quella non armata, all’inizio con piccole cifre. 100 milioni di euro non sono niente rispetto a quanto si sta spendendo oggi per gli armamenti, però è comunque un segnale: è da lì che dobbiamo attingere! Prendiamo quelle risorse e le mettiamo in un’organizzazione di diverso tipo. Questi fondi saranno poi incrementati dalla scelta dei cittadini che vorranno fare l’opzione del 6 per 1000 a beneficio della difesa civile, in sede di dichiarazione dei redditi.
Quali sono gli ultimi aggiornamenti sulla Campagna?
La primissima fase della campagna si è conclusa con successo con il raggiungimento di 53.000 firme (+3.000 rispetto al numero richiesto) da parte di cittadini di tutta Italia. È partita dunque la 2ª fase della Campagna per sostenere la proposta di legge in Parlamento. È tempo di passare alla parte comunicativa. Quindi trovare i testimoni, i sindaci, tutta un’area di sviluppo della Campagna per ottenere il riconoscimento politico. Dopo la consegna delle firme e l’incontro con la Presidente Boldrini, il 15 dicembre (giornata dell’obiezione di coscienza e del servizio civile) è stata annunciata in Aula la presentazione di un Progetto di Legge sulla DCNN, che ripropone lo stesso testo della nostra legge di iniziativa popolare. I deputati Marcon (Sinistra italiana), Zanin (Partito Democratico), Basilio (Movimento 5 stelle), Sberna (Per l’Italia – Centro Democratico), hanno firmato congiuntamente la proposta di Legge “Istituzioni e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa civile non armata e nonviolenta”. Il peso delle firme dei cittadini viene quindi rafforzato, e l’iter istituzionale potrà iniziare con l’obiettivo della discussione, calendarizzazione e approdo prima in Commissione e poi in Aula. Poi c’è stata la pubblicazione del Bando per il progetto sperimentale dei Corpi Civili di pace.
Quindi il 2015 si è chiuso molto positivamente.
Ora, possiamo affrontare il 2016 con fiducia, per la seconda fase della Campagna, quella più politica.