di Diego Cipriani – per Italia Caritas
Finalmente pubblicato il decreto del governo che disciplina individuazione e impiego di 500 giovani che, nel mondo, opereranno in aree a rischio di conflitto o emergenza ambientale. Sperimentazione delicata: entro l’anno il primo contingente?
Era stato il sogno di don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta presidente di Pax Christi che, nel dicembre 1992, si era messo alla testa dei 500 pacifisti che avevano sfidato l’assedio di Sarajevo per realizzare “un’altra Onu: quella dei popoli, della base”. Si era concretizzato in un progetto che Alex Langer, eurodeputato “verde” altoatesino, a metà degli anni Novanta, aveva presentato al Parlamento europeo, per creare un “Corpo civile di pace europeo”. Finalmente quel sogno e quel progetto stanno per diventare realtà.
La legge di stabilità per il 2014 ha stanziato 3 milioni di euro per il triennio 2014-2016, al fine di istituire un “contingente di corpi civili di pace, destinati alla formazione e alla sperimentazione della presenza di 500 giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale”. Dopo 17 mesi, è arrivato l’atteso decreto del ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro degli esteri, che detta le linee sull’organizzazione dei Corpi civili di pace.
Sei campi d’azione
È interessante notare che nelle premesse del decreto viene esplicitamente citato il famoso rapporto «Un’Agenda per la pace» che il Segretario generale delle Nazioni Unite stilò nel 1992 per disegnare, all’indomani della fine della guerra fredda e della prima guerra del Golfo, i nuovi compiti che attendevano l’Onu di fronte alle sfide della pace. Diplomazia preventiva, pacificazione, mantenimento della pace e costruzione della pace dopo un conflitto sono compiti che, seppur trasformati in questi decenni, sono entrati ormai nella prassi delle organizzazioni internazionali in caso di conflitto. In tutte queste fasi d’intervento, viene contemplata la presenza di personale civile non armato (che in alcuni casi, si preferisce al personale militare in armi), a sottolineare come la soluzione dei conflitti e la costruzione della pace non passino necessariamente per la via delle armi.
È quello che da anni anche il movimento per la pace in Italia chiede alle istituzioni, sulla scorta dell’esperienza degli obiettori di coscienza al servizio militare che, per 40 anni, hanno realizzato una “difesa della patria” civile, non armata e nonviolenta. È quello, inoltre, che migliaia di “caschi bianchi” hanno fatto in questi ultimi anni col loro servizio civile all’estero.
Ma come verranno organizzati questi Ccp?
I corpi civili di pace potranno agire nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto, oppure nelle aree di emergenza ambientale, in sei campi d’azione: il sostegno ai processi di democratizzazione, di mediazione e di riconciliazione; il sostegno alla società civile locale per la risoluzione dei conflitti; il monitoraggio del rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario; le attività umanitarie, inclusi il sostegno a profughi, sfollati e migranti, e il reinserimento sociale degli ex combattenti; l’educazione alla pace; il sostegno alla popolazione civile che fronteggia emergenze ambientali, nella prevenzione e gestione dei conflitti generati da tali emergenze.
Trattandosi di una sperimentazione, e non possedendo già l’Italia un “corpo” di civili da dispiegare in situazioni particolari, a realizzare queste azioni saranno i giovani del Servizio civile nazionale, che verranno inseriti in progetti speciali che gli enti proporranno e che si potranno avvalere della partecipazione attiva di attori locali, in un’ottica di cooperazione.
Formazione intensiva
Gli enti dovranno indicare nei progetti che intendono proporre la tipologia del conflitto o dell’emergenza ambientale nella quale intervenire, le modalità di attuazione, le attività da svolgere e l’impatto di queste sulle dinamiche del conflitto, nonché le modalità di coinvolgimento dei giovani in servizio civile, le caratteristiche di idoneità fisica e psicologica, di preparazione e specializzazione personale che questi dovranno possedere, la conoscenza delle lingue straniere richiesta e i programmi dei percorsi formativi.
A proposito di formazione dei volontari, quella generale teorico-pratica durerà almeno 100 ore, mentre quella specifica almeno 70. Un impegno abbastanza gravoso, per il quale sarà riconosciuto all’ente un contributo di 700 euro per ciascun giovane (contro i 180 euro attuali). Oltre a ciò, una parte delle risorse verrà destinata alla formazione dei formatori degli enti che partecipano alla sperimentazione, anche con la collaborazione centri di ricerca o istituti universitari esteri.
Il decreto, inoltre, prevede anche disposizioni in materia di sicurezza, tema sul quale vigilerà il ministero degli esteri. Prima di recarsi all’estero, i volontari saranno tenuti a partecipare ad attività di sensibilizzazione in materia di sicurezza, ma anche in loco le nostre rappresentanze diplomatiche organizzeranno attività specifiche nella zona di intervento.
Trattandosi di una sperimentazione è importante non solo che essa “funzioni” correttamente, ma che ci sia qualcuno a verificarla. Ci penserà un apposito Comitato di monitoraggio e valutazione, che oltre alle presenze istituzionali e ai rappresentanti degli enti vedrà la partecipazione di personalità del mondo accademico e della società civile con provata esperienza.
Fin qui i contenuti del decreto. Si attendono adesso le modalità operative per permettere agli enti di presentare i progetti, che saranno sottoposti a valutazione. Seguirà poi il bando speciale per raccogliere le candidature dei giovani e finalmente la partenza del primo contingente, che si spera possa avvenire entro fine anno.