Una riflessione di Grazia Naletto (portavoce Sbilanciamoci!)
Sbilanciamoci! Perché “Un’altra difesa è possibile”
Agli inizi di ottobre la ministra Pinotti è tornata a pronunciarsi sul programma di acquisto degli F35 annunciando l’acquisto entro fine anno di altri due velivoli definendolo “indispensabile”. Ciò è accaduto a pochi giorni di distanza dal voto alla Camera di una mozione che impegna il governo a dimezzare il budget destinato al finanziamento del programma.
Le inefficienze tecniche, le pressioni della società civile, le migliaia di firme raccolte dalla campagna Taglia le ali armi, le innumerevoli dichiarazioni di personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, persino le affannose ipotesi governative di spending review non sembrano sufficienti a indurre il Governo a revocare una scelta che non rispetta la nostra Costituzione e distoglie risorse preziose che potrebbero essere usate molto più utilmente in modo diverso.
Ecco una ragione in più per partecipare alla campagna Un’altra difesa è possibile che attraverso la proposta di una legge di iniziativa popolare per la “Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta” intende promuovere un’altra idea di difesa, che vuole fare a meno delle armi.
La proposta intende dare attuazione all’art.11 della nostra Costituzione, che sancisce il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, rivendicando il diritto dei cittadini a svolgere un ruolo attivo nella difesa del paese attraverso la promozione di interventi civili e non violenti di pace.
Non si tratta solo di raccogliere 50mila firme per depositare in Parlamento una proposta di legge che prevede l’istituzione di un dipartimento che coordini questo tipo di interventi e introduce la possibilità che i cittadini contribuiscano al suo finanziamento attraverso lo strumento dell’opzione fiscale del 6 x mille sulla dichiarazione dei redditi.
Un’altra difesa è possibile è un’occasione per rilanciare nel paese una campagna culturale diffusa e capillare a sostegno delle politiche di pace, alternative a quei venti di guerra che proprio negli ultimi mesi hanno ripreso a soffiare violentemente fornendo ancora una volta una risposta sbagliata alla proliferazione delle crisi e dei conflitti internazionali.
Guerre e conflitti civili non si possono fermare con le armi. Non sarà l’invio di fucili e di cacciabombardieri in Iraq a fermare l’Isis; né il commercio e le esportazioni di armi in Israele aiutano certo a fermare le ingiustizie, le sopraffazioni e le stragi ai danni della popolazione palestinese che vive a Gaza e nei territori occupati.
La storia recente parla da sola. La guerra “infinita” e quella “umanitaria” non hanno portato pace ma alimentato i conflitti interni in Afganistan, in Iraq come in Libia e, semmai, hanno dato ossigeno a quei fondamentalismi che, cavalcando e alimentando lo scontro con l’occidente, sperano di estendere il proprio controllo su quei territori.
Non è dunque di aerei di attacco, capaci di trasportare bombe nucleari, né di sommergibili o portaerei che il mondo ha bisogno. Piuttosto occorre aumentare il numero delle persone disposte a costruire la pace dal basso intervenendo nelle zone di conflitto con azioni nonviolente di interposizione, interventi umanitari a supporto delle popolazioni civili, attività di monitoraggio della garanzia dei diritti umani, iniziative di mediazione che favoriscano il dialogo tra le diverse parti in conflitto.
È sostenendo le popolazioni civili con interventi culturali, sociali, di promozione del dialogo culturale e interreligioso, di garanzia dei diritti umani fondamentali come quelli alla salute, all’istruzione, al lavoro che il nostro paese può contribuire effettivamente a promuovere e a costruire la pace. Senza armi, in modo pacifico e nonviolento. Sono la partecipazione ai corpi civili di pace, la realizzazione di attività di solidarietà e cooperazione internazionale finalizzate a ridurre le diseguaglianze tra i Nord e i Sud e i centri e le periferie del mondo, la lotta paziente contro i nazionalismi e le molteplici forme di razzismo. Sono quegli interventi che possono contribuire a decostruire l’ideologia dello “scontro di civiltà”, tornata egemone nelle relazioni internazionali, che tanti danni ha fatto nell’ultimo quindicennio.
La raccolta di firme sarà anche l’occasione per promuovere un confronto e una riflessione con l’opinione pubblica sulle reali priorità del nostro paese e su un’idea di “sicurezza” condivisa i cui elementi costituivi risiedano nella garanzia dei diritti sociali, del lavoro e della giustizia sociale anziché sull’acquisto, la produzione, il commercio e l’esportazione di strumenti di morte.
Un’altra difesa è possibile sarà dunque un modo per ricordare che la politica estera, di difesa, agli affari interni e le politiche economiche e sociali sono strettamente interrelate e parti di un modello geopolitico, economico e sociale che va cambiato. Le armi non ci mettono al sicuro, né possono tutelare le popolazioni che si trovano coinvolte direttamente in guerre e conflitti nei loro paesi.
Per questo è indispensabile immaginare e costruire insieme e dal basso l’altra difesa possibile: quella pacifica, nonviolenta, di impegno, di partecipazione e di dialogo civile.